2 luglio 2010

Tolta la ''Sorella'' a Casorati

Il tribunale affida in custodia alla Gam il capolavoro conteso. Venne rubato a Pavarolo nel 1963 e ritrovato dopo 44 anni

PAVAROLO - Il “Ritratto della sorella Elvira” è di nuovo stato tolto ai Casorati: stavolta non dai ladri, ma dal Tribunale, che ne ha affidato la custodia alla cassaforte della Galleria d’Arte Moderna di Torino, in attesa di decidere a chi andrà definitivamente. Il prezioso quadro, che Felice Casorati dipinse nel 1925 e che si trovava nella ”casetta bianca” di via Maestra a Pavarolo, venne rubato la notte tra il 22 e il 23 gennaio 1963. Icarabinieri del Nucleo tutela del patrimonio artistico di Monza lo hanno rintracciato a Milano, in casa Annamaria Paravidino, il 24 gennaio 2007. E da quel momento è cominciata la battaglia legale. Attorno a un’opera che vale intorno a 800.000 euro. In un primo tempo era stata restituita a Francesco Casorati, figlio ed unico erede del pittore. Ma Annamaria Paravidino, assistita dagli avvocati Jenny Castelli e Felicetta Oddono, sostiene di aver avuto il dipinto in piena buona fede e vanta la legittimità della proprietà. «Una tesi che secondo noi non ha fondamento», premette l’avvocato Lorena Iannuzzi, che con la collega Cristina Rey tutela Francesco Casorati. L’avvocato Iannuzzi ripercorre le tappe che hanno condotto dopo più di quarant’anni alla riscoperta della preziosa opera, un dipinto su legno: «Nel 2004 fonti confidenziali dei Carabinieri comunicavano che, sul mercato clandestino delle opere d’arte, stava per essere messo in vendita a 240.000 euro un dipinto intitolato “Ritratto della sorella”, firmato da Felice Casorati». Quella notte del 1963 venne consumato, probabilmente, un furto su commissione. Il quadro era stato rubato a Pavarolo insieme ad altre opere di Casorati, De Pisis, Paulucci, Levi. Il furto era stato denunciato da Daphne Maugham, moglie dell’artista, che aveva indicato il “Ritratto della sorella” come opera più preziosa tra quelle scomparse (all’epoca era valutata 14 milioni di lire). Casorati, infatti, non aveva mai voluto separarsi da quel ritratto, più volte esposto in prestigiose mostre internazionali. Le complesse indagini portano i Carabinieri ai Paravidino. «Sono investigatori, ma anche grandi esperti d’arte - commenta Francesco Casorati - Per combinazione, poi, il maresciallo Silvano Schivo, che ha eseguito l’operazione, è stato allievo di mia moglie Paola Zanetti al liceo artistico di Torino». Ma il quadro come sarebbe approdato sul mercato? «Attraverso una complessa rete di persone, per evitare che la signora Paravidino venisse individuata come detentrice del quadro» spiega l’avvocato Iannuzzi. Nella ricostruzione fatta dai legali di Casorati, il primo attore è Pier Carioggia, titolare della casa d’aste Sant’Agostino di Torino: «Aveva riferito a Francesco Casorati e poi ai Carabinieri che la ”Sorella” era nelle mani dell’antiquario Arnolfo Pisani di Portofino (zio della Paravidino, oggi morto). Inoltre, aveva dichiarato di essere stato contattato da un certo Vittorio Belly (oggi anche lui scomparso), disposto ad acquistare l’opera». Belly aveva consegnato a Carioggia foto del quadro, un’autentica firmata da Attilio Malaguti, e alcune fotocopie di un catalogo edito a Milano nel 1926. «Carioggia si era subito accorto che si trattava di un’opera rubata - prosegue l’avvocato Iannuzzi - Belly, a quel punto, s’era defilato. Francesco Casorati, invece, pur di recuperare un’opera dal profondo significato affettivo prima ancora che artistico, aveva incaricato il gallerista torinese di trattare il quadro a suo nome, pur di rientrarne in possesso». Casorati effettua una serie di rilanci: parte da 100 mila, arriva fino a 300 mila euro. «E’ una situazione abbastanza tipica: si cerca, attraverso canali sicuri, di offrire a chi ha subito il furto la possibilità di ricomperare la refurtiva - chiosa il legale - In questo modo i ricettatori ottengono soldi e non hanno più in mano materiale compromettente». Il tentativo d’acquisto non va però in porto. I Carabinieri sentono l’autore dell’expertise: afferma che «probabilmente non ha mai visto l’opera». Inoltre, indagando sull’antiquario ligure, gli inquirenti arrivano ai Paravidino e trovano il quadro. «Scoprono inoltre che Enrico Paravidino, padre di Annamaria e morto nel 1982, era noto come trafficante d’arte». Annamaria Paravidino si difende sostenendo di aver ricevuto in dono il quadro dai genitori, che l’avevano acquistato da un antiquario genovese oggi defunto, e di non conoscerne la provenienza illecita. La vicenda approda al Tribunale di Milano, che ha stabilito non sussistano le condizioni di buona fede: il quadro torna a Casorati. «C’è da sottolineare che per quarant’anni nessuno ha fatto vedere o ha esposto un’opera che è una tappa fondamentale nella pittura del Novecento - sottolinea l’avvocato Iannuzzi - Se davvero fossero stati convinti che l’acquisto era regolare, esporre la ”Sorella” non avrebbe fatto altro che aumentarne il valore». Ma Annamaria Paravidino si oppone a questa conclusione: è la causa oggi approdata al tribunale di Torino. Qual è allora la conclusione dei legali di Casorati, depositata di fronte al giudice Lucia Mancinelli? «Secondo noi Annamaria Paravidino non può vantare alcun diritto sul quadro, che dunque deve tornare all’erede di chi lo ha dipinto ». L’udienza è in programma per febbraio 2011, la sentenza è attesa per la fine dell’anno prossimo. «Con la speranza che il quadro, oggi affidato al caveau della Gam per evitare che possa nuovamente sparire, torni finalmente al suo legittimo proprietario».